Cyrano de Bergerac: l’uomo, l’amore, la poesia

Cyrano de Bergerac è una celebre commedia teatrale in cinque atti, creata da Edmond Rostand nel 1897 ed ispirata a Savinien Cyrano de Bergerac, scrittore francese seicentesco.
Da allora, tante sono state le sue rappresentazioni teatrali e cinematografiche a cui si aggiunge Cyrano (2021) diretto da Joe Wright.

La storia è ben nota: Rossana (Haley Bennett) è una giovane ed avvenente orfana, in cerca dell’amore vero, quello che non sia disposto a fare compromessi. Lei è oggetto del desiderio ed è contesa da più uomini. Da una parte troviamo il nobile De Guiche (Ben Mendelsohn), un uomo concentrato solo su sé stesso e su ciò che vuole, dall’altra parte troviamo il poeta Cyrano (Peter Dinklage)  ed infine il bel Christian de Neuvillette (Kelvin Harrison Jr.), un soldato innamorato incapace di esprimere i propri sentimenti a causa dell’educazione impartita all’epoca ai giovani destinati alla carriera militare.

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House of Gucci: storia di un omicidio

Era un nome dal suono così dolce, così seducente; sinonimo di ricchezza di stile, di potere. Passavi davanti una loro vetrina e guardavi dentro sperando un giorno di avere abbastanza soldi da poterti permettere l’articolo meno caro. Sorpresa! Non accadrà! Ma quel nome era anche una maledizione. Apparteneva ad una famiglia toscana. Non lottavano per le terre o per il potere, lottavano per la propria pelle.
Cit. Patrizia Reggiani, Lady Gaga

Comincia così House of Gucci, il film diretto da Ridley Scott ed uscito nelle sale cinematografiche il 16 dicembre 2021. La pellicola è un adattamento cinematografico del romanzo House of Gucci: una storia vera di moda, avidità, crimine (2002) della giornalista Sarah Gay Forden, che narra la storia della maison Gucci attraverso l’incontro, la storia d’amore, il matrimonio e poi l’omicidio di Maurizio Gucci nel 1995. Scott, però, trae solo spunto dal libro raccontandone una sua versione.

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“Cruella”, nella vita serve stoffa

Crudelia De Mon
Crudelia De Mon
Farebbe paura perfino a un leon.
Al sol vederla muori d’apprension
Crudelia, Crudelia.
E’ più letale lei di uno scorpion.
Crudelia, Crudelia De Mon.

Crudelia fa l’effetto di un demonio
e dopo il primo istante di terror
ti senti in suo poter
e tremi al sol veder
gli occhi di felino predator.
E’ un mostro inuman
crudele vampir.
Dovrebbe per sempre dal mondo sparir
Che gioia, allora, che soddisfazion.

Crudelia, Crudelia De Mon

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“Waking Life” di Richard Linklater – recensione

Quando si parla di cinema sperimentale, solitamente c’è un particolare film che mi ritorna alla mente, e quando fra nuovi conoscenti ci si ritrova a consigliarsi le pellicole preferite, quelle che più ci hanno emozionato, o sapete, di quelle che improvvisamente piombano nel momento giusto del vostro percorso, all’età giusta, pronte ad aprivi gli occhi su chissà quale scomparto del mondo sconosciuto, ecco che ancora una volta è alle immagini di “Waking Life” che penso.
Sono incappato nel film di Richard Linklater (“Boyhood” e la trilogia “Before”) durante i primi anni del liceo, in un periodo in cui ero alla ricerca di qualcosa che riuscisse a soddisfare una mia particolare curiosità e attrazione per il mondo onirico, e soprattutto per il “sogno lucido”. Questo è un eccentrico fenomeno psichico, una condizione del sonno in cui il soggetto ha modo di sperimentare la consapevolezza del dormire e, teoricamente, avere la capacità di modellare la forma e la sostanza del proprio sogno, con tutte le infinite possibilità che ciò può comportare. Mi dicevo, “il presupposto narrativo per chissà quante storie, quante opere”, e “Waking Life” riusciva a cogliere in maniera del tutto originale e profonda il potenziale di un simile concetto.
Il film racconta di un giovane ragazzo intrappolato in un sogno lucido, alle prese con una realtà completamente distorta, alla mercé di casuali incontri con stravaganti personaggi, nei luoghi più comuni, dal ciglio di una strada californiana al bancone di un offuscato pub, ad un accogliente salotto di famiglia.
E così seguendo la danza tragica del sognatore nel suo tentativo di risveglio, scopriremo come ognuna di queste persone ha qualcosa da dire al nostro protagonista: un’enigmatica poesia o una bizzarra teoria sull’origine della coscienza umana, una dedica alla folle casualità dell’esistenza o una genuina riflessione sulla rabbia, la comunione, la sacralità. Ben presto ci si accorgerà infatti che il motore del film sono il linguaggio utilizzato, l’espressione e il dialogo fra queste identità che si incontrano.

Lungi dal risultare una mera compilazione di astrazioni e discorsoni, “Waking Life” è semplicemente un sincero ed esplicito sguardo su diversi aspetti della vita umana, ognuno dei quali viene esternato e incarnato allo stesso tempo da un uomo o una donna diversi, estremamente capaci di calarsi nei panni del “guru”, del rivelatore, del suggeritore di turno. Le dichiarazioni dalle quali il ragazzo si lascia trasportare, sono espressione di ammirazione verso il mondo e al contempo tentativo di indagarlo e spiegarlo al prossimo che vorrà
ascoltare. É anche qui l’originalità della pellicola, nel chiedere direttamente allo spettatore di ascoltare, più che osservare, non distrarsi ma prestare attenzione. Prestare attenzione e accorgersi che il casuale e innocuo discorso di un passante può celare al suo interno un universo di simboli, segni, tracce di esperienze e vissuti, orizzonti e prospettive future nel quale potersi riconoscere.
Non che l’aspetto estetico del film sia da meno, dato che l’autore ha optato per la tecnica del “rotoscope”, mettendo in forma di disegno a mano tutte le scene precedentemente girate, e in piena libertà artistica scegliendo i colori, le sfumature, gli schizzi e guizzi, che più si confacevano all’animo e sentimenti dei personaggi.
Difficile da descrivere a parole, l’esperienza di un’opera del genere non può che arricchire la mente dello spettatore, fornendogli molteplici chiavi di lettura della propria quotidianità, facendo capire come in fondo senza il dialogo e la comunicazione con l’altro non si potrebbe mai essere sé stessi, non si potrebbe mai crescere e maturare. “La vita da svegli (waking life) è un sogno sotto controllo” affermava un filosofo spagnolo, Santayana, per cui mi verrebbe da chiedermi, ribaltando la logica del sogno lucido:”Cosa accadrebbe se un giorno ci accorgessimo piuttosto di essere svegli?”.

Tommaso Lonzar

“Honey Boy” di Alma Har’el

Vincitore speciale al Sundance Film Festival e acclamato alla Festa del Cinema di Roma, “Honey Boy” è la storia del difficile rapporto che può nascere fra padre e figlio, visto e raccontatoci dal punto di vista di quello stesso figlio, l’attore Shia Labeouf, che ha scritto la sceneggiatura per la direzione di Alma Har’el.

Labeouf, famoso per i suoi guai con la giustizia, ha scritto il soggetto mentre si trovava in riabilitazione dopo una condanna, quasi a esercitare una sorta di esorcizzazione del proprio turbolento passato. Un esorcismo che non si ferma alla penna ma passa direttamente all’interpretazione dello stesso padre, ex-clown da rodeo, alcolizzato ed eroinomane. Seguiamo così due fasi della vita dell’attore hollywoodiano, nel film Otis Lort, da quando già promettente volto del cinema (interpretato da un commovente e abile Noah Jupe) manteneva il padre grazie ai proventi del suo lavoro, al giovane adulto che divenne, in perenne lotta per soffocare  l’affliggente ricordo di un genitore che gli ha determinato l’esistenza (in questa fase messo in scena dal già affermato Lucas Hedges).

É stata una piacevole sorpresa trovare al festival romano un film così struggente e sensibile, in cui Labeouf è riuscito a condurmi con la delicatezza e la dolorosa sincerità necessari, nei momenti più emozionanti della sua convivenza col padre, in un fatiscente motel prima e nei pensieri poi. Così accompagnati da una fotografia calda e nostalgica, sulle notte di una colonna sonora strimpellante e malinconica (come la simbolica “Glimpses” di Alex Ebert), ripercorriamo le radici di Labeouf, che ci insegna tramite la sua migliore interpretazione come l’arte può essere la migliore medicina per fare i conti con i propri amati demoni del passato.

Tommaso Lonzar