#Bookshelf: Tenebre e Ossa di Leigh Bardugo (The Shadow and Bone Trilogy #1)

Da sempre devota al genere fantasy, ogni volta che scopro una saga o trilogia nuova, tutto posso fare tranne che esimermi dal leggerla e/o vederne le varie trasposizioni che ne vengono tratte.
Il mio incontro con The Shadow and Bone Trilogy di Leigh Bardugo è stato puramente casuale, ed è avvenuto nel modo che tutti i lettori odiano: scoprendo prima la serie tv e solo dopo, leggendo i libri.

Ammetto le mie colpe e chiedo perdono.

Continua a leggere “#Bookshelf: Tenebre e Ossa di Leigh Bardugo (The Shadow and Bone Trilogy #1)”

BRIDGERTON 2: Una nuova era?

Mesdames et messieurs Lady Whisteldown è tornata per narrare i suoi gossip sugli schermi di tutto il mondo!

Il 25 marzo la piattaforma streaming Netflix ha rilasciato la seconda stagione di Bridgerton, la miniserie che reinterpreta i romanzi pubblicati dalla scrittrice Julia Quinn e che è stata prodotta da Shonda Rimes, già famosa per aver lanciato Scandal e Grey’s Anatomy.  

Continua a leggere “BRIDGERTON 2: Una nuova era?”

“Qualcuno Volò sul Nido del Cuculo” sedici anni prima – Ratched

Se salvi una vita sei un eroe, se salvi cento vite sei un infermiere.
Mildred Ratched

Il 18 settembre 2020 usciva su Netflix la serie Tv Ratched ispirata al personaggio di Mildred Ratched, infermiera sadica di Qualcuno Volò sul nido del cuculo. Nonostante non si tratti di un personaggio nuovo per i più – si ricordano il romanzo di Ken Kesey (1962) e il film del 1975 che fece vincere l’Oscar a Louise Fletcher per il medesimo personaggio – il produttore e regista Ryan Murphy decide di distaccarsi totalmente dai precedenti adattamenti e ambienta la sua serie tv nel 1943, ben 16 anni prima degli avvenimenti raccontati nel film e nel libro. 
Bisogna immaginare che nel 1943 la Seconda Guerra Mondiale era nel suo pieno ed aveva aperto le porte ad un gran numero di conseguenti problematiche che coinvolsero tutto il mondo, compresi gli Stati Uniti d’America, in cui è ambientata la serie. Se da una parte, la guerra portò con sé morte e devastazione – basti pensare a tutti i giovani caduti sotto le armi e tanti altri sopravvissuti ma mentalmente provati da ciò che furono costretti a vivere – dall’altra parte si aprì un’età prospera per i molti progressi e sperimentazioni in vari ambiti, tra cui quello della psiche umana.
Fatta questa premessa, la serie tv, come verrà detto nel sesto episodio della serie, composta da otto puntate, ha lo scopo di raccontare chi fosse davvero Mildred Ratched:

Vorrei aver conosciuto Mildred Ratched prima che il mondo la cambiasse. Prima che qualcuno la convincesse che per sopravvivere bisogna costruirsi un muro intorno e non lasciare entrare nessuno, mai.”
Gwendolyn Briggs

Se dapprima, grazie alle precedenti “storie” l’infermiera si presentava come una donna inspiegabilmente chiusa, anaffettiva e di indole crudele; grazie al lavoro registico di Ryan Murphy vengono fuori gli aspetti più intimi della sua vita a partire dall’infanzia, le sue relazioni e la vita sessuale.

L’infermiera Mildred Ratched (Sarah Paulson) ottiene, grazie al suo curriculum ed a metodi non propriamente limpidi, di entrare a far parte dello staff medico del Lucia State Hospital: una delle cliniche psichiatriche più famose della California, diretta dal Dottor Hanover ( Jon Jon Briones), segnato dal suo pesante passato, il quale sperimenta sui suoi pazienti le più svariate terapie del periodo per la cura delle malattie psichiatriche; basti citarne una per suscitare sgomento: la lobotomia.

Tra i pazienti del dottor Hanover: Edmund Tolleson (Finn Wittrock) , un ragazzo problematico, che apre la serie tv compiendo un omicidio plurimo con un proprio filo logico per vendicare il suo passato. Fin dall’inizio si trova sotto il controllo della caposala Betsy Bucket (Judy Davis).

Alla loro storia si intrecciano inesorabilmente quelle di Gwendolyn Briggs (Cynthia Nixon) segretaria del Governatore della California e  di Lenore Osgood (Sharon Stone) una ricca ereditiera che assume Charles Wainwright (Corey Stoll) come sicario per attuare una vendetta in favore del figlio Henry (Brandon Flynn) .
Tra tanta cattiveria e depravazione troviamo l’inserviente Huck Finnigan (Charlie Caver) un ex soldato con lesioni al viso causate dalla guerra che mostra quella pietà tanto agognata dai pazienti della clinica.

La scelta delle location influisce non solo nel rendere magnifica la fotografia – ogni frame potrebbe essere estrapolato ed esposto in musei data l’estrema precisione della ripresa – ma anche nel fornire informazioni interessanti per la trama; ad esempio: il Lucia State Hospital era un ex centro termale per i ricchi dall’arredo lussuoso nei toni del blu fiordaliso, rosso corallo e alabastro. La clinica ha bisogno dei fondi del Governatore della California (George Milburn) il quale userà come esempio dell’efficacia delle nuove sperimentazioni psichiatiche, la vicenda di Edmund Tollson che diventerà anche uno dei punti cardinali per la sua campagna elettorale. O, per fare un altro esempio, il Motel in cui è ospitata Mildred usato come metafora di un forziere dei segreti e dei demoni della donna. Una menzione a parte merita l’attento lavoro di Lou Eyrich e Rebecca Guzzi, costumiste della serie. Per loro, il regista dette particolari direttive sull’uso del colore che non doveva prevedere rossi, arancioni o viola perché usati nella serie per altri elementi (la luce, infatti, varia a seconda delle emozioni dei personaggi). L’unico rosso ammesso era il colore del rossetto dei personaggi femminili che varia tonalità a seconda dell’indole più o meno malvagia del personaggio.

Per esclusione, le costumiste hanno optato per tonalità differenti del verde e del blu; colori che generalmente hanno una connotazione positiva, qui diventano simbolo di invidia, lussuria, oppressione e persino violenza. Ci si distacca quindi dal candore delle divise del ’75 donando ai personaggi un aspetto completamente nuovo.
Il verde, quindi è presente in tutta la serie e nelle sue più svariate sfumature a partire dalle divise del personale medico del Lucia in cui possiamo notare una sorta di gerarchia del costume: Mildred e l’infermiera capo Betsy indossano una divisa a maniche lunghe, abbottonata davanti, con una cintura in vita e di colore verde intenso; gli infermieri indossano maglietta e pantalone in varie sfumature di verde e le apprendiste infermiere, di cui è simbolo la lussuriosa Dolly (Alice Englert), indossano abiti a maniche corte con sopra un grembiule di un verde più chiaro.

Il Dottor Hanover, invece, indossa completi nelle più scure tonalità del verde e del blu che indicano il suo ruolo più alto nella clinica.

Per l’abbigliamento dei pazienti, si evita il più possibile l’uso dei camici (relegati solo a determinati momenti come gli interventi) e si preferisce farli vestire con normali abiti civili; tutto ciò ha lo scopo di rendere l’atmosfera della clinica più vicina ad un centro riabilitativo che non ad un centro di sanità mentale.

Per il personaggio di Edmund le costumiste si sono ispirate ai look di James Dean e Marlon Brando. Li rivediamo moltissimo nei look alla “bad boy” con la giacca di pelle e i jeans dalla vita alta. Per questi ultimi, in particolare, sono state usate salopette a vita alta, modificate secondo le necessità e abbinate a t-shirt morbide dell’epoca.

Per i look di Mildred invece si predilige l’uso di colori sgargianti e tagli netti, utili ad enfatizzare serietà e l’autorità tipiche del suo ruolo da infermiera,  ma ancora di più il riferimento al New Look di Dior (che nasce nello stesso anno in cui è ambientata la serie) che ritroviamo espressamente citato nel tailleur giallo all’inizio della serie e in quello bianco usato nell’ultima puntata. Non sono gli unici abiti che indosserà nella serie, la protagonista sfoggia un guardaroba ricchissimo di elementi e di dettagli particolarmente interessanti, un esempio è sicuramente il completo blu abbinato ad accessori verdi. Unico riferimento al film del 1975 sono le acconciature che man mano evolvono sino ad arrivare nelle ultime puntate ad acconciature fortemente ispirate a quelle di Mildred Ratched interpretata da Louise Fletcher. 

Per i costumi di Gwendolin  le costumiste hanno scelto di ispirarsi a Carole Lombard e Katharine Hepburn, per le scene al lavoro, invece, si prediligono abiti più sobri e dall’aspetto mascolino, liberamente ispirati a Rosalind Russel.

I look di Lenore Osgood sembrano usciti dal guardaroba di una delle grandi dive del cinema in bianco e nero. E’ una figura particolarmente eccentrica con abiti d’epoca o d’ispirazione vintage ricchissimi di accessori come guanti, pellicce e gioielli. Un dettaglio che ho apprezzato molto è che i suoi costumi seguono le stesse linee della luce e del colore: dapprima bianchi, poi verdi, rossi e infine di nuovo bianchi.  Tutti i suoi look sono abbinati a quelli della piccola Petunia (la sua scimmietta cappuccina) cui è stato realizzato un guardaroba apposito ispirato a Shirley Temple.

La grande cura dei dettagli riesce a creare una finta ed inquietante perfezione che, contrapposta al disordine mentale dei suoi protagonisti, suscita nell’osservatore una forte inquietudine che accompagnerà sino agli ultimi minuti dell’ultima puntata.

Alessandra Passantino Belli

Viaggio nel costume – non propriamente Regency – di Bridgerton

“Parlarne bene o parlarne male non importa, purché se ne parli”
Oscar Wilde

La tanto discussa quanto famosa serie tv Bridgerton, ha solleticato la mia attenzione in quanto amante e conoscitrice della storia della moda.
La costumista della serie, Ellen Schneid – Mirojnick (ndr. famosa per aver vinto, nella sua lunga
carriera, un Emmy per i Migliori costumi per Dietro i candelabri, per aver vinto un Saturn Award
per i migliori costumi per Starship Troopers, per aver vinto tre Costume Designers Guild Awards
per Dietro i candelabri, The Knick e ancora per il suo lavoro in The Greatest Showman e
Maleficent- Signora del male) ha voluto distaccarsi dall’immaginario comune del periodo Regency,
creato anche grazie ai tanti film sui romanzi Austeniani, per creare qualcosa di totalmente nuovo.
Infatti, la serie ispirata ai romanzi di Julia Quinn, non vuole citare alla lettera il 1813 ma, lo
reinventa in una chiave moderna e per farlo, Ellen Mirojnick, è partita dallo studio dei dipinti, dei
libri di storia della moda e del costume e anche delle riviste contemporanee, ponendosi la domanda:
“Cosa piace alle ragazze di oggi?” e apportando le novità modaiole alle silhouette del passato con tessuti, tecniche e colori decisamente moderni.
Nascono così 7.500 costumi (di cui 104 sono solo quelli usati dalla protagonista Daphne in ben 8
episodi) realizzati in soli cinque mesi da un dipartimento composto da 238 professionisti
(modellisti, sarti, ricamatrici) che si sono occupati di ogni singolo dettaglio del costume, dalla
parrucca, ai gioielli, all’intimo, alle scarpe ecc…
Senza alcun dubbio, un gran lavoro ma scendiamo maggiormente nei dettagli.

La serie tv comincia con le protagoniste femminili in abiti bianchi, come se si volesse far riferimento alle pagine di un libro ancora tutto da scrivere e che da lì a poco ci avrebbe rivelato il vero carattere dei personaggi, delineato maggiormente dall’uso del colore. La costumista stessa
dirà: “Ogni famiglia ha il suo colore, una palette specifica che la rappresenta e che svela allo spettatore quello che i personaggi non dicono.”

E allora, scopriamo questi colori.
Come già anticipato, la serie presenta una fusione tra passato e presente ed una commistione anche per i colori che, sin dalle prime immagini, ci mostrano una città brulicante di vita e di colore. Ed è proprio questa una delle tante cose che maggiormente mi ha colpita, ovvero, rompere lo stereotipo che il periodo Regency fosse costituito da soli guardaroba bianchissimi. Basti solo osservare i bozzetti d’epoca ricchi di colori dai nomi più strani, per citarne alcuni il Coquelicot (una sfumatura di rosso in voga tra il 1797 e il 1799), Evening Primrose (una sfumatura di giallo usata intorno al 1807-1817), Pomona Green (una sfumatura di verde usata nel 1812), Cerulean Blu, ecc…
Altrettanto avviene con le due famiglie protagoniste, i Bridgerton e i Featherington.





I primi rappresentano lo stereotipo della famiglia aristocratica e per loro i costumi scelti hanno toni polverosi, sulle sfumature del blu, dell’azzurro e del verde.






Il loro simbolo, applicato anche alle parrucche, sapientemente realizzate da Marc Pilcher, è l’ape.

I Featherington, invece, rappresentano quelle famiglie con la nobiltà come retaggio generazionale; per loro sono stati realizzati abiti con stampe e motivi floreali dai toni più accesi del giallo, arancione, rosa e verde, quest’ultimo in particolare è considerato il colore di famiglia.
Per loro, il simbolo è la farfalla, che ritroviamo anche nei decori degli abiti.

I costumi, fondamentalmente, seguono tre correnti: la prima è rappresentata, come abbiamo detto, dagli abiti con il taglio impero (anche se, contrariamente a quelli del periodo, qui il taglio è portato leggermente più alto, tagliando così la silhouette del seno):

Il secondo è rappresentato dagli abiti della regina Carlotta e della sua corte, chiaramente in stile 1750-1770. E’ pur vero, che le persone “anziane” non amassero vestire secondo i dettami della moda corrente e che rimanessero attaccati a quella del passato ma in questo caso, la scelta penso che voglia semplicemente sottolineare la differenza di rango.

Vi spiego cosa mi porta a pensare ciò: in quel periodo (1750), la regina Carlotta (cui è ispirata la regina della serie tv) era una bambina e la moda infantile, era differente da quella adottata dagli adulti; inoltre, sembrerebbe che per la serie, si siano ispirati ad un dipinto della stessa che in gioventù indossava una robe à la française ma si tratta di ben 40 anni prima, rispetto all’anno in cui è ambientata la serie. Parlando degli abiti di corte, bisogna citare anche quelli usati dalle protagoniste per la presentazione delle giovani alla Regina.

Si tratta di abiti da corte, molto belli e ben curati, nei toni del bianco e dell’avorio ma, ispirati agli abiti da corte Francesi. Vi basterà paragonarli all’abito dell’incoronazione indossato da Josephine nel dipinto “L’incoronazione di Napoleone” di Jacques Louis David (1805-1807) per notarlo, mentre, nella corte britannica, erano prediletti abiti con i cerchi a sostegno della gonna.

L’ultima corrente, è quella più audace e moderna di cui si fa emblema lady Portia Featherington. Si tratta di abiti con il punto vita più marcato, stampe più evidenti ed un look con una forte ispirazione agli anni 1950-60. Per i suoi abiti e acconciature, la costumista ha scelto di ispirarsi ai look di Elisabeth Taylor e Joan Collins.

Ma non è l’unica ispirazione più moderna; troviamo anche le acconciature di Daphne ispirate a quelle di Audrey Hepburn in Guerra e pace e ancora il ritorno del choker( ossia un collarino di velluto divenuto un must tra le adolescenti degli anni 1990-2000):

Parlando dei gioielli, incredibilmente belli e tutti firmati Swarovski:

I protagonisti di questa prima stagione della serie, sono l’elegante Daphne e il bel Duca di Hasting, Simon.

Per la prima, si può notare attraverso il costume, l’evoluzione della storia e del personaggio che affronta un cammino di crescita che la porta a diventare da una giovane ed ingenua ragazza ad una donna forte e decisa: dapprima vengono scelti per lei abiti quasi virginali dai colori candidi, man mano che la storia proseguirà si faranno sempre più scintillanti e audaci.

Spero che il lettore mi voglia concedere una piccola parentesi sull’abito da sposa usato da Daphne che, seppur magnifico, è inesatto per il suo colore, poiché per l’associazione matrimonio-abito bianco, si dovrà attendere il 1840 con il matrimonio della Regina Vittoria con Alberto di Sassonia-Coburgo-Gotha.

Il Duca Simon, adotta un look da dandy, ispirato al poeta Lord Byron:

Parlare del Duca, mi permette di fare un’altra piccola parentesi storica riguardo le cravatte.

Grazie a Lord Brummel, la cravatta divenne di gran moda, prediletta di colore bianco e inamidata per ottenere le pieghe perfette e i nodi più svariati. Proprio nel periodo impero, si diffusero libri e illustrazioni sui vari modi per indossare la cravatta nelle più svariate occasioni. All’interno della serie, viene però annodata solo in due modi.

Altra grande inesattezza riguarda la biancheria intima con la famosa chemise intima (indossata solitamente come primo strato, a diretto contatto con la pelle) non pervenuta; per cui, i corsetti, realizzati dalla corsetteria Mister Pear, vengono indossati a diretto contatto con la pelle e portati molto stretti. Le protagoniste della serie, tra le loro battute, citano l’impossibilità di respirare a causa dei corsetti. Riguardo l’impossibilità di respirare preferisco non esprimermi, avendo io stessa realizzato ed indossato corsetti con taglio d’epoca, però vorrei sottolineare che i corsetti del periodo impero erano realizzati in cotone bianco (perché il bianco era un colore associato alla pulizia), senza stecche e con le asole fatte a mano; per cui sarebbe stato impossibile stringerli molto non danneggiandoli (e sappiamo bene che all’epoca, l’elevato costo degli abiti, non permetteva di avere un guardaroba particolarmente ricco) e inoltre, stringere tanto la vita, sarebbe stato inutile sotto un capo che cade completamente dritto.


Alessandra Passantino Belli

Il Regency utopico di Bridgerton

Bridgerton ormai, rientra a pieno titolo tra le serie tv che sono diventate un vero e proprio fenomeno culturale, distribuita da Netflix e prodotta da “ShondaLand”, la casa di produzione televisiva della statunitense Shonda Rhimes, nota al grande pubblico per aver prodotto serie tv come Grey’s Anatomy e How to get away with murder.
Bridgerton è arrivata sugli schermi il 25 dicembre 2020 ed è tratta dalla saga di romanzi di Julia Queen.

Già dai primi minuti della serie ci si ritrova catapultati in un utopica Inghilterra della Reggenza, agli inizi dell’Ottocento. Protagonisti principali sono alcune famiglie dell’alta società londinese. Le loro vite, apparentemente ordinarie, verranno investite improvvisamente dalla prepotenza della penna di Lady Whisteldown, autrice sotto pseudonimo di un giornaletto simil scandalistico che si propone di mettere in luce tutti i più piccoli e oscuri segreti degli aristocratici inglesi: si potrebbe definire quasi una “Gossip Girl” ottocentesca.

Il libello pone all’attenzione dei lettori soprattutto le vicende della famiglia Bridgerton, composta dalla madre, Lady Bridgerton, e da otto figli, rispettivamente quattro maschi e quattro femmine. Spicca, fra tutti, Daphne Bridgerton, la maggiore delle donne, la quale è in età da marito e, come ogni donna dell’epoca, è in cerca del miglior partito. Debutta a corte a corte in qualità di “diamante della stagione”, titolo che le è stato assegnato dalla regina Charlotte per la sua bellezza ed eleganza.
L’attrice che la interpreta è Phoebe Dynevor e il suo personaggio è caratterizzato da un’insolita compostezza e delicatezza, che non lasciano spazio a un’interpretazione emozionale più forte che, probabilmente, avrebbe fatto la differenza nella serie.
Il più longevo degli uomini, invece, è Anthony Bridgerton, il cui ruolo è stato affidato a Jonathan Bailey. Anthony, in assenza del capofamiglia, si ritrova a dover dirigere in qualche modo il nucleo familiare, in attesa di trovare una compagna del suo rango, cosa che tarda ad arrivare dal momento in cui si è invaghito di una giovane attrice squattrinata.

La vera novità della serie è uno dei protagonisti maschili: Regé-Jean Page, alias Simon Besset, duca di Hastings e scapolo più ambito e bello della società. La sua storia è alquanto travagliata, in quanto il padre lo cresce senza amore poichè convinto che un figlio affetto da balbuzie non potrebbe mai essere un erede degno del ducato. Simon combatte tutte le sue insicurezze e barriere, arrivando a ricoprire il ruolo di un nobile di tutto rispetto. Tuttavia, matura con il tempo dei pregiudizi radicati che lo porteranno a essere troppo freddo e razionale di fronte a determinate scelte di vita. Simon stringerà amicizia con Daphne e, grazie ad uno stratagemma architettato dai due giovani, riusciranno a destreggiarsi nelle insidie della vita in società.

La potenza della parola di Lady Whisteldown emerge nella misura in cui le azioni dei personaggi ruotano intorno ad essa e, intrecciandosi, ne vengono influenzate: si evincono, contemporaneamente, sia il desiderio di riscatto e di felicità, sia l’arrivismo e la malvagità di molti aristocratici. Ciò che emerge dalle scene è anche una certa confusione nella gestione e nello sviluppo di alcune tematiche: in primis la figura della donna, che a tratti sembra essere dipinta come un giocattolo inanimato che aspetta solo di essere comprato, ma che tuttavia nasconde un desiderio non molto preponderante di accettazione del sé e di ciò che ne deriva.
Persino la cultura del sesso viene affrontata a livelli estremi: nella componente maschile è sinonimo di passione, possesso, desiderio, mentre nella componente femminile è molto latente, arrivando a dimostrare che è un profondo tabù da cui ci si deve allontanare, o addirittura nascondere per vivere nell’ignoranza più totale. Nel caso delle donne è comprensibile che, nell’ottica di un’epoca del genere, certi argomenti non debbano essere affrontati alla luce del sole, ma ciò le fa apparire alquanto stupide e incapaci di far fronte alle situazioni.

Infine, le personalità di alcuni personaggi lasciano un po’ a desiderare. Oltre ai protagonisti sopracitati, anche alcuni ruoli minori devono ancora essere sviluppati in tutta la loro essenza: vedasi soprattutto i fratelli minori dei Bridgerton e altri personaggi secondari. I sentimenti spesso mancano di profondità e di espressività, elementi che dovrebbero essere essenziali ai fini della trama del romanzo che non è assimilabile a quella di un Orgoglio e pregiudizio di Jane Austen. La trama televisiva, nondimeno, segue un filo logico coerente e assume spesso toni frivoli e ingenui che danno quel tocco in più a una serie leggera e senza troppe pretese: l’amore è il motore che la fa andare avanti. Anche le dinamiche che portano a svelare l’identità di Lady Whistleldown, sconosciuta sino alle ultime scene, sono costruite in maniera attenta e peculiare. È già stato annunciato che ci sarà una seconda stagione, che andrà in onda l’anno prossimo e che seguirà l’andamento dei romanzi. Di qui il link al trailer della prima:        

Claudia Pratillo