“The Irishman” di Martin Scorsese

Alla Festa del Cinema di Roma ho assistito all’ultima opera di Martin Scorsese, un Gangster movie d’autore che si fa già modello della narrativa cinematografica, della ricostruzione storica e l’uso innovativo della tecnologia. Nelle sale dal 4 al 6 novembre e su Netflix dal 27, The Irishman è il racconto per eccellenza, il frutto di un’arte narrativa ormai matura e sapiente, che sa dosare i propri espedienti e punti forza.
Siamo nel 2000 e un ormai anziano Frank Sheeran (De Niro) riavvolge il nastro della memoria per far luce sulla propria vita da efferato sicario al soldo del boss Russell Bufalino (Pesci). In un’ascesa che lo porterà da mercante di carni a pedina determinante nella scacchiera politica americana del dopoguerra, Sheeran svolse un importante ruolo da intermediario fra la Cosa Nostra statunitense e la controversa figura del sindacalista Jimmy Hoffa (Al Pacino), scomparso misteriosamente nel ’74. Così Scorsese è
riuscito ancora una volta a coinvolgermi nel suo mondo, con uno stile tipicamente tagliente e ironico, che più volte mi ha trascinato nella risata, un ritmo incalzante e un coraggioso ma lodevole processo di ringiovanimento del cast tramite computer grafica.
E che dire degli attori, con questa triade di premi Oscar che domina costantemente sullo schermo, ormai veterani dell’incarnare ed esprimere le più enigmatiche e potenti sfaccettature del “criminale”. Ho avuto l’esatta impressione che la sala si fosse dissolta, ritrovandomi come spettatore inerme dell’esistenza di un altro uomo, assistendo attonito al fiorire delle sue amicizie e il dilagare dei suoi rimorsi, paure e violenze.

Ma The Irishman ricorre al vocabolario del genere gangster per parlare di altro, del concetto di fine, di memoria, di amicizia e fedeltà. Si presenta come monumentale punto di arrivo del regista italo-americano, che con questo film riesce nuovamente ad omaggiare la complessità e ricchezza dell’esistenza umana, mostrandone i lati più provocatori e oscuri.

Tommaso Lonzar

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